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Bilancio di sostenibilità: serve davvero?

Alessandro Benatti • ott 11, 2020

La necessità di un approccio "integrale".

Tempo di lettura: 6'
Il quesito racchiuso nel titolo, a taluni esperti, potrebbe apparire mal posto. Si potrebbe obiettare che, anzitutto, per taluni soggetti economici, il Bilancio di Sostenibilità possa essere semplicemente un’opportunità, mentre per altri è diventato, recentemente, obbligo di legge.
In realtà lo scopo attrattivo del titolo intende richiamarvi ad una riflessione di natura diversa: ovvero, come un Bilancio di sostenibilità può diventare davvero utile al business di un’azienda?
Si sa perfettamente che, con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 7 del 10/01/2017 del D.Lgs. 254/2016, si è attuata la Direttiva 2014/95/UE del Parlamento e del Consiglio Europeo del 22/10/2014, che reca modifiche alla Direttiva 2013/34/UE, ovvero riguardanti le informazioni di carattere non finanziario e sulla composizione degli organi di amministrazione, che imprese e gruppi di grandi dimensioni devono fornire, a integrazione dei consueti e tradizionali contenuti dei bilanci.
E’ altresì indubbio che i nuovi obblighi di legge hanno stimolato la redazione dei reporting “non finanziari” non solo nelle grandi aziende, ma dato che queste devono render conto della propria responsabilità e tracciabilità rispetto alle proprie catene di fornitura, questo fatto spinge anche aziende più piccole, che pur non avrebbero obblighi, a rendicontare i propri “fattori ESG”.

Tuttavia, torniamo al nostro quesito. Questi processi in atto servono solo ad assolvere ad obblighi o opportunità di trasparenza, o stanno realmente incidendo e migliorando la vita delle aziende, la qualità degli obiettivi raggiunti e quindi anche dei relativi impatti ambientali e sociali.
La sensazione (supportata da studi e indagini) è che ci sia ancora molta strada da fare percorrere in tal senso.
E’ vero che molte aziende stanno adottando soluzioni legate ed orientate ai temi della sostenibilità, dal risparmio energetico, alla riduzione degli scarti, al welfare, al supporto alle onlus, etc.. E’ vero che si è evoluta la tendenza e la capacità di comunicare queste azioni. Ma il rischio è che se l’approccio alla sostenibilità, come accade in molti casi, si limita ad azioni di questo tipo, (per quanto esse siano nobili), i progressi verso un effettivo miglioramento sociale ed un’effettiva riduzione degli impatti negativi rischiano di restare esigui. Molto spesso, il tutto si riduce, di fatto, ad una risposta ad alcune istanze espresse dai propri consumatori o dalle comunità locali in cui si è insediati, svolta in maniera passiva e superficiale ed inefficace a generare benefici “strutturali”.

C’è un concetto, ovvero un approccio, che ritengo assolutamente determinante e che tutte le aziende o le organizzazioni economiche dovrebbero adottare.
E’ fondamentale che l’approccio alla Sostenibilità e alla Responsabilità Sociale diventino “integrali” rispetto alla vita, all'organizzazione e a tutte le dinamiche proprie dell'azienda.

Rendicontare le proprie azioni senza aver prima effettuato una reale “integrazione” tra un “piano strategico di sostenibilità” e la pianificazione dei business aziendali, non consentirà mai di effettuare un vero, significativo ed utile(!) salto di qualità alle reali Sostenibilità e Responsabilità Sociale di un’azienda.
Non basta un processo di reporting “ex-post”, ma è necessario partire da un piano strategico di sostenibilità, che attraversi tutte le fasi organizzative e le aree di interesse del soggetto economico. Deve essere un piano che prevede obiettivi chiari, concreti, rispondenti ad una “logica di senso” e misurabili. Solo successivamente l’attività di reporting sarà un utile rendicontazione di un cambiamento reale, in grado di mutare, in positivo, la Sostenibilità e la Responsabilità.

Questa riflessione, spesso, spaventa o infastidisce taluni imprenditori o manager, che intravedono il rischio di un sovraccarico rispetto alle dinamiche di pianificazione o di gestione abituali. Si intravede spesso, erroneamente, un rischio di distrazione o di deviazione dagli obiettivi operativi necessari al business.
In realtà non è così. Infatti non si tratta di aggiungere processi di analisi o di organizzazione (laddove questi vengano già attuati in maniera seria e compiuta) bensì di continuare a svolgerli aggiungendo ad essi un nuovo punto di vista, una nuova lente di osservazione.
L’esperienza comune è che l’applicazione, sull’intero sistema e corpo aziendale, di un nuovo approccio analitico, progettuale e di rendicontazione, adeguatamente approfondito e ben integrato agli schemi e ai piani di business, non solo eleva la Sostenibilità ma offre una straordinaria serie di benefici e di nuove indicazioni sia per migliorare i risultati di business che il clima aziendale.
Ciò e possibile se davvero l’analisi, la “ridefinizione” strategica e le misurazioni si snodano in modo “integrale” (non ci si stanca mai di ripeterlo), sulle fasi della vita aziendale e di prodotto. Tale ottica deve riguardare sia i contesti interni che esterni all’azienda.
Vanno considerati, rispetto al proprio posizionamento, i principali fattori socio ambientali (che peraltro già andrebbero sempre vagliati in un’ottica di Risk Management), le modalità con cui ad essi si rapportano i propri piani strategici, aziendali e industriali. Vanno analizzati gli scenari di mercato, così come i profili di sostenibilità messi in atto dai propri concorrenti e dai propri fornitori. Vanno identificate le opportunità e le aspettative, in un’ottica di sostenibilità, che emergono con forza e con risultati spesso stupefacenti ed estremamente interessanti quando si effettua, per davvero, un corretto ed approfondito “stakeholder engagement” sia interno che esterno all’azienda. E non va nemmeno sottovalutato, nel caso “interno”, quanto queste procedure giovino al senso di appartenenza e al clima aziendale.
Sulla base di queste analisi , va poi redatto un vero e proprio piano strategico, fortemente integrato al piano di business o ai piani industriali, ove siano indicati con chiarezza e coerenza sia gli obiettivi generali che quelli dettagliati, gli indirizzi operativi per attuarli, le modalità e la periodicità di misurazione sul loro raggiungimento e i KPI utilizzati.
Va inoltre definita e strutturata, con chiarezza e precisione di obiettivi, la governance che deve sovrintendere a tali processi, che deve verificarne l’effettiva misurazione e che deve occuparsi, attraverso azioni e strategie concrete, che tale orientamento sia comprensibile e condiviso da tutto il corpo aziendale e che divenga oggetto di un’efficace strategia di accountability e comunicazione verso l’esterno.

Diciamolo: in molti casi tutto ciò può essere affrontato più agevolmente con l’ausilio di consulenti esterni, di specialisti seri e capaci.

Di certo, si tratta di un nuovo approccio che non “sovraccarica” bensì arricchisce e perfeziona le dinamiche gestionali, consentendo loro di raggiungere, a sostanziale parità di impegni economici, nuovi risultati e performance estremamente interessanti.

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